mercoledì 31 marzo 2010

METAMORFOSI

In un mondo che corre troppo in fretta, persino più veloce dei nostri pensieri, ancora non c’è posto per le persone «diverse». «Diverse da chi?», vi domanderete. Io stessa me lo domando. Siamo spaventati da tutto ciò che ci sembra strano, dal colore della pelle, dal diverso modo di vestire, da chi cammina o parla con difficoltà...

Siamo talmente abituati al lavaggio del cervello da parte dei media, da credere, senza ombra di dubbio, che la bellezza fisica, una carriera prestigiosa, una famiglia felice, un’automobile di lusso, una personalità intraprendente siano le uniche cose che contano, nella vita. Se in tutta questa «felicità», improvvisamente, qualcosa o qualcuno stravolge la nostra routine, magari solo perché non riusciamo ad avere un vestito più alla moda della nostra collega, oppure perché la nostra abbronzatura non è perfetta, ci sentiamo persi: sembra che tutta la nostra vita stia andando a rotoli. Ci chiediamo che male abbiamo fatto per meritarci punizioni così gravi. Ciò che mi fa rabbrividire è constatare che nella mia generazione, e ancora di più tra i giovani, esistono non poche persone con questa convinzione.

Mentre scrivo quest’articolo con il computer, io mi sto aiutando con un copritastiera che è un ausilio, un supporto tecnologico concepito per essere d’aiuto a un disabile per prevenire, compensare, alleviare o eliminare un suo limite fisico: in pratica, è uno scudo in metallo costruito apposta per incastrarlo sulla tastiera, con dei fori: ciò mi aiuta a non sbagliare tasto, mi dirige le dita. Ecco, adesso vi sarete chiesti di che cosa stavo parlando e vi sarete sentiti spaesati! Avete ragione. Vi spiegherò meglio: sono una persona disabile motoria dalla nascita. Non so che cosa passa nelle vostre teste in questo momento, ma vi assicuro che la mia non è una malattia e tanto meno sono contagiosa. Sono solo una donna che vive la sua vita e che desidera raccontare i disagi che le barriere architettoniche possono crearle.

Da nove anni ho un’occupazione presso un’azienda sanitaria torinese e sono molto orgogliosa del mio lavoro, soprattutto perché il mio ruolo è molto impegnativo.
Per arrivare in ufficio c'è una lunga rampa con la pavimentazione di gomma antiscivolo e lo scorrimano per potersi appoggiare.
Il mio ufficio è situato al piano rialzato, in modo tale da non dover usare né l’ascensore né, tanto meno, le scale. La mia postazione di lavoro è stata pensata in modo che io possa svolgere i miei compiti senza bisogno di aiuto, anche se, ovviamente, devo comunque sapermi adattare al mio spazio molto più di quanto sia richiesto a una persona senza i miei problemi di spasticità. Per muovermi all'interno dello stabile, uso il deambulatore, un altro ausilio che mi aiuta a camminare: una sorta di carrello con quattro ruote e delle maniglie per appoggiare le mani. A volte, devo essere io a guidarlo per evitare sbandamenti... diciamo che ci aiutiamo a vicenda. Immaginate di spingere il carrello del supermercato un po’ ballerino e magari con tutta la vostra spesa dentro, voi come ve la cavate?
Quando devo andare in bagno, anche se è a norma di legge, alcune volte ho delle difficoltà: devo usare la chiave (la spasticità rende difficile lapresa e i movimenti fini), entrare con il deambulatore facendo attenzione a dirigerlo bene, poiché si sbilancia e oscilla e chiudere la porta facendo ruotare una levetta piccolissima sul pomello: un’operazione non molto facile.
Può capitare, durante la giornata, di dover percorrere lunghi tragitti all'interno dello stabile, per portare negli uffici materiale di lavoro. In questo caso, ho la possibilità di usare la mia carrozzina elettrica. A volte, invece, durante la pausa del pranzo, vorrei andare a fare acquisti nei negozi vicini, ma mi è impossibile, in quanto gli scalini alti mi impediscono di entrare. E pensare che basterebbe mettere degli semplici scivoli; ma evidentemente... rovinerebbero l’estetica dell’ambiente! Mi chiedo: è così difficile pensare che una persona con problemi motori possa «desiderare» comprarsi una camicetta o un paio di pantaloni?
Per mia fortuna c’è il mercato: lì almeno posso girare tranquillamente, senza problemi di spazio. Questo mi permette di sentirmi un po’ più libera e indipendente.
Avendo difficolta nel camminare e non potendo usufruire dei mezzi pubblici, talvolta non accessibili, mi sposto in taxi, sia per recarmi in ufficio, sia per fare attività extralavorative. C’è un servizio nato per poter agevolare persone con difficoltà di deambulazione, dando loro la possibilità di spostarsi autonomamente. Da molti anni, il Comune di Torino stanzia una notevole parte di denaro alle compagnie di radiotaxi per questo tipo di trasporto, ma l’altra parte è a carico degli utenti come me: ogni mese, mi reco presso una delle sedi GTT, per acquistare il libretto chiamato «buoni taxi», da utilizzare nell’arco dei trenta giorni.
Ansiosa di concludere la mia giornata lavorativa, di spegnere il computer e di chiudermi la porta alle spalle, telefono al radiotaxi e prenoto un’automobile per farmi venire a prendere. Ogni volta che mi accingo a fare questa operazione, devo specificare al centralino che sono in possesso dei «buoni taxi»: il tassista che accetta di venirmi a prendere deve sapere che sta per effettuare un trasporto per una persona disabile. Mentre salgo sul taxi che mi porterà a casa, con il pensiero, mi gusto già il meritato riposo.


Maria Teresa Balla

lunedì 29 marzo 2010


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