mercoledì 19 gennaio 2011

Qualcuno mi aiuti a salire su una gru

Qualcuno mi aiuti a salire su una gru o sul tetto di qualche edificio importante di Bologna!
Sono una persona disabile di 49 anni e ho scelto di vivere da solo, lontano dalla famiglia, da quando avevo vent'anni.
Questa scelta non è stata una passeggiata, ma è un'esperienza che rifarei 100.000 volte. Fortunatamente ho sempre lavorato, pagando così gli affitti dei vari appartamenti dove ho vissuto in questi 29 anni.
E’ noto che i soldi non fanno la felicità, questo però di solito lo dice chi i soldi li ha. Per una persona come me, disabile, non è certo qualche ingresso gratuito al cinema che può migliorare la qualità della mia vita. Per una persona con difficoltà motorie, che vuole avere una vita sociale normale, anche solo doversi spostare con i mezzi pubblici diventa veramente complicato. Quindi uno nelle mie condizioni deve necessariamente affidarsi ai mezzi di trasporto privati come il taxi. Questo, però, comporta una spesa ulteriore. Fino a un anno fa, il servizio sociale sanitario contribuiva a rendere la mia vita più indipendente con un contributo per il trasporto (si trattava di una cifra di circa € 120 al mese ). Un altro contributo dei servizi sociali è un assegno di cura di € 460 al mese. Questo ultimo mi serve per contribuire a pagare una persona che quotidianamente mi aiuta in quelle mansioni che da solo non riesco a svolgere: fare la spesa, pagare le bollette, pulire la casa ecc. Certo non è una grande cifra, anzi, ma è meglio di niente.
Con le varie finanziarie il contributo per la mobilità è stato il primo a essere stato tagliato: “Da oggi stai a casa!”. E’ vero che i proprietari di casa non pagano più la tassa ICI, ma non capisco perché questa mancata entrata debba essere compensata dai tagli all’assistenza ai disabili. Come se non bastasse, l'assistente sociale mi ha comunicato che dal mese di gennaio verrà ridotto anche l'assegno di cura che da € 460, verrà portato a € 307. Sempre per colpa dei tagli che vengono fatti alla sanità.
Di certo non bisogna avere grandi competenze in materia di economia per capire che una persona che vive da sola, usufruendo di un contributo di € 460, costa allo stato € 5.520 ogni anno. Mentre se la si priva degli aiuti che le permettono di essere indipendente fino a costringerla ad essere ospitata in un centro residenziale a carico del S.S.N, la cifra che lo stato dovrebbe sborsare aumenta in modo considerevole. Di fatto, il welfare è sempre una delle prime voci che viene coinvolta dai tagli quando si vuole "risparmiare".
Queste sono le contraddizioni della nostra Italia che da un lato non permette di “togliere il disturbo” qualora, liberamente, un individuo decida che la sua esistenza non ha più niente a che vedere con il concetto di vita; dall'altro toglie anche quei pochi sussidi che, superate le paludi della burocrazia con lunghe file e infinita produzione di documenti, uno ha ottenuto come suo diritto.
Un senso di abbandono da parte delle istituzioni ci assale quando andiamo a chiedere aiuto agli organi preposti, quando vediamo gli impiegati allargare le braccia, scuotendo la testa, e informarci che hanno tagliato quei finanziamenti che renderebbero maggiormente dignitosa e autonoma la nostra vita di disabili. Sempre "hanno": non si ha mai un nome certo! Come se fosse ancora una volta il destino a bussare alla porta, portando la notizia che sei stato “nominato” e che da gennaio sulla tua vita peserà un senso di incertezza per il futuro.
Perciò a chi si trova nella mia situazione non resta altro che trovare qualche volontario (perché i professionisti costano), che lo aiuti a salire su qualche tetto per attirare quell'attenzione che altrimenti noi disabili non avremmo mai. Magari minacciare di buttarsi di sotto, costringendo le amministrazioni comunali a pagare gli straordinari agli operatori ecologici per pulire quello che resta della nostra esistenza spiaccicata su un marciapiede. Io sono pronto, ho già il maglione e la giacca pesante. Pronto a salire su un qualunque tetto di questa bella Bologna che un tempo era rossa, di un rosso caldo che sapeva unire. Ora il rosso di cui si può parlare è solo quello del sangue che la gente come me, che dal primo giorno di vita lotta per essere considerata normale, deve sputare per arrivare a fine mese.

Carlo Venturelli

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